Pecetto Torinese è situato su un declivio delle colline a sud est di Torino, da cui dista 11 km.
L’altitudine sul livello del mare varia da un minimo di 269 metri al confine con Trofarello a un massimo di 712 metri al Colle della Maddalena e al Monte Capra; il Municipio si trova a quota 407 metri.
Pecetto Torinese si estende su striscia lunga 5 km e larga poco meno di 2 per una superficie complessiva di 9,16 kmq
È attraversato da tre piccoli corsi d’acqua che appartengono al bacino del Tepice, affluente di destra del Po.
Deriva molto probabilmente il suo nome dal pino da resina “piceum”, rappresentato nello stemma: “un arbore di pessa verde in campo argento”.
La fondazione di Pecetto risale al lontano 1224, come risulta dal Libro Rosso del Comune di Chieri. Per difendere il lato a ponente del suo territorio, Chieri recinse il colle, alto 410 metri, creando un ricetto. Il fulcro difensivo era rappresentato dalla possente Torre, alta 22 metri e con i muri spessi 2 metri, ancora oggi dominante l’abitato con la caratteristica corona di mandorli e cipressi sempreverdi che ne adornano la sommità. Il toponimo di Pecetto preesisteva alla fondazione del borgo, o come riferimento a una specie arborea (Pinus picea, abete) o per gli appezzamenti di terreno (pecia) che caratterizzavano la zona.
Per la sua fama Pecetto venne onorata di una bella, per quanto fantasiosa, rappresentazione nel Theatrum Sabaudiae, il grande libro celebrativo del ducato sabaudo stampato ad Amsterdam nel 1682 e diffuso in tutta Europa, soprattutto nelle corti dei vari Stati.
Nel Theatrum Sabaudiae è anche rappresentato uno dei maggiori vanti di Pecetto dell’epoca: l’Eremo dei Camaldolesi, fatto erigere da Carlo Emanuele I a partire dal 1602 per voto fatto in tempo di peste; era abitato da una nobile comunità monastica dotata di strutture adorne di pregevoli opere d’arte, in parte conservate nell’attuale Parrocchiale, e pure di cascinali nel territorio Pecettese.
Fu abrogato e depredato a seguito dei decreti napoleonici sulla soppressione degli Ordini religiosi e successivamente quasi completamente distrutto. Le uniche testimonianze dello splendore del passato sono il campanile, la cappella dei forestieri, una cella monastica, la lavanderia e la spezieria-infermeria.
Le prime tracce di insediamenti nel territorio sono però del sito archeologo del Bric San Vito: riscoperto a seguito della segnalazione e prime indagini del Gruppo Archeologico Torinese e oggetto di tre campagne di scavo dirette dalla Soprintendenza ai beni archeologici del Piemonte tra il 1994 e il 1996. I rinvenimenti ceramici, litici e metallici, riferibili alle diverse fasi di frequentazioni del sito, dall’età del ferro (V-III secolo a.C.) fino all’epoca basso medievale, sono conservati e parzialmente esposti presso il Museo di Antichità di Torino.
L’importanza del sito deriva dalla presenza di reperti delle varie epoche che si sono avvicendate senza alterare la stratigrafia dei depositi precedenti e dal fatto che, in epoca protostorica, era sede di commercio e scambio tra territori e le popolazioni celto-liguri. In base allo studio analitico dell’insieme ceramico e metallico riferibile all’età del ferro, il Bric San Vito di Pecetto è attribuito alla popolazione celto-ligure dei Taurini.