La chiesa di San Sebastiano 

L’attuale Chiesa di San Sebastiano (ora Cappella Cimiteriale) può essere datata, per lo stile prevalentemente gotico dell’interno, alla fine del XIV – inizio XV secolo. L’antica chiesa era probabilmente una pieve e svolgeva funzione parrocchiale. L’edificio ha una struttura a tre navatelle coperte da volte a crociera con un presbiterio che costituisce il prolungamento della navata centrale oltre l’arco santo. L’affresco della volta del presbiterio, realizzato tra il 1440 e il 1450, è considerato un’opera insigne di Guglielmetto Fantini, pittore di origine chierese.

Gli affreschi, realizzati tra la prima metà del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo, dovevano originariamente ricoprire tutte le pareti interne. Opera di un pittore che si firma Antonius de Manzaniis è il grande affresco della Crocifissione, situato sulla parete di fondo del presbiterio, che si distingue nettamente dalle raffigurazioni della volta mostrando chiari richiami ad opere di artisti di area germanica, collegamento possibile per i numerosi contatti tra Chieri e i mercati del nord Europa. Nella navata sinistra, che conserva quasi integralmente la sua decorazione pittorica, si trova la raffigurazione dei dodici apostoli e una teoria di santi, attribuiti al “Maestro degli Apostoli di Revigliasco”. Gli affreschi dell’ultima campata dello stesso lato sono invece dedicati al martirio dei santi Stefano e Lorenzo. Fra i numerosi altri dipinti, di grande bellezza e importanza è quello posto sulla controfacciata di destra, realizzato con

intensa carica emotiva nel 1508 da Jacopino Longo e raffigurante la Natività, prima opera datata pervenutaci dall’artista. La Chiesa di San Sebastiano è stata in questi ultimi anni oggetto di recupero e di restauro ad opera dell’Amministrazione comunale.

La Parrocchia  di Santa Maria della Neve

Il centro storico già ricetto medievale conserva, oltre alla torre civica, nel sito di una chiesa preesistente, la Chiesa Parrocchiale di Pecetto, dedicata a Santa Maria della Neve, costruita dal 1730 al 1739.  Si tratta del primo edificio progettato dall’architetto Bernardo Antonio Vittone.  L’interno evidenzia una serie di sei altari collocati lungo le pareti laterali e culmina nell’elegante altare maggiore in marmo, proveniente dall’Eremo ed opera di Francesco Dellala di Beinasco.

Sullo sfondo si erge la pala realizzata nel 1783 da Vittorio Amedeo Rapous, allievo del Beaumont.  Altri dipinti notevoli sono la tela del primo altare a sinistra, di ignoto autore, raffigurante Sant’Orsola con le consorelle e quella del successivo dedicata alle Anime purganti, e sul secondo altare, lungo la parete di destra, il quadro dei santi protettori Antimo e Ferrario, recante in basso un’immagine settecentesca di Pecetto. Significativo anche l’imponente organo a cinque corpi del 1778 e il pulpito in legno. Dal fondo della navata, sulla destra, si accede ad una piccola cappella, dove è esposta una grande statua settecentesca in cartapesta raffigurante la Vergine addolorata, opera particolare per il materiale impiegato e la tecnica esecutiva.

A fianco della Parrocchiale, Villa Sacro Cuore (ex Villa Triulzi) merita una visita per la sua posizione panoramica e per il parco, sempre esposto al sole e riparato a nord dalla mole della chiesa, in cui prosperano piante sempreverdi e fiori solitamente propri di altre zone climatiche.

Fino al 1988  nel ricetto nei pressi della Chiesa Parrocchiale ha trovato ubicazione il Municipio, poi trasferito nella sede attuale, in una pregevole villa di metà Ottocento con un bel parco.

Uno degli edifici sede, prima delle scuole e poi del vecchio Municipio, è ora diventato Biblioteca comunale.

La chiesetta della Confraternita del SS. Nome di Gesù

La Chiesa della Confraternita del SS. Nome di Gesù e dei Battuti Bianchi, dal colore del saio che indossavano durante le cerimonie, fu progettata dall’architetto Luigi Molinari d’Andorno nella prima metà del Seicento.

La chiesa è a navata unica e coro rettangolare, con la facciata suddivisa in due ordini coronati da un timpano e raccordati tra loro da due volute. Nell’Ottocento la confraternita si sciolse, la chiesa fu abbandonata e successivamente, durante la Prima guerra mondiale, adibita a magazzino. La facciata dell’edificio, in stile barocco, presenta notevoli doti di armoniosa eleganza scenografica, movimentata da lesene, volute e nicchie, da un riquadro un tempo affrescato e da una grande finestra sommitale incorniciata. Di particolare effetto scenografico la scalinata di accesso in pietra e il massiccio portone in legno scolpito, eseguito dall’incisore Varetti nel 1816. Attualmente è proprietà del Comune.

Altri edifici di pregio

Villa Il Ghiotti o Il Tarino Visibile dalla strada che porta verso Valle Sauglio è nota per aver ospitato nell ‘Ottocento l’attrice Carlotta Marchionni e sua cugina Teresa (Gegia), amata da Silvio Pellico che si recava spesso in visita, trovandosi egli stesso ospite della Villa Barolo sulla collina di Moncalieri.

Villa Bergalli Si trova sul pendio del Bric della Croce, negli anni Venti del Novecento, vi trascorreva le vacanze estive e autunnali la scrittrice Annie Vivanti.

L’Eremo dei Camaldolesi

Il duca Carlo Emanuele I di Savoia aveva fatto un voto nel 1559: “se l’epidemia di peste cesserà realizzerò un grande convento, composto da numerosi edifici”. Nel 1601 assieme al suo consigliere spirituale, padre Alessandro dei Marchesi di Ceva, e all’architetto Vitozzi, mantenne la sua promessa e diede il via ai lavori, proprio in località Monveglio, laddove sarebbe sorto l’Eremo dei Camaldolesi. Cinque anni dopo, nel 1606 in quel luogo sorse il maestoso edificio immerso in un parco ricco di pini, cipressi e cedri. Questo convento fu l’impresa edilizia più importante di Carlo Emanuele I. Per ogni eremita l’architetto aveva previsto una casetta indipendente con un pozzo interno, una cella, un oratorio e un piccolissimo orto. Una chiesa bianca dominava le celle.

Nei due secoli di vita del monastero vennero concentrate, oltre ad una ricca biblioteca, diverse opere d’arte : Beaumont, Bernero, Cignaroli, dei fratelli Pozzo, per non citarne che alcuni. Ma la diaspora artistica iniziò prima dello smantellamento ufficiale del convento che fu deciso nel 1801 dalla commissione esecutiva del Piemonte. La soppressione, che avvenne contemporaneamente a quella degli eremi di Cherasco e Busca era necessaria per motivi finanziari: il governo francese all’epoca non era in grado di mantenere la dotazione annua di 13.125 Lire. L’eremo rimase deserto per otto anni, fu oggetto di ripetuti saccheggi , finché nel 1809 fu messo all’asta ed acquistato dal banchiere Ranieri. Il monastero ridotto a condizioni pietose ritornò alla curia nel 1874, per essere adibito a sede estiva del Seminario. I lavori di ristrutturazione fecero perdere completamente la fisionomia delle antiche vestigia. Oggi i resti della proprietà sono stati demoliti e al suo posto sorge un edificio che ospita una Casa di Riposo, Residenza Eremo dei Camaldolesi. Le uniche testimonianze dello splendore del passato sono il campanile e la cappella dell’Ordine dell’Annunziata tutte in cattive condizioni. Ora non più visitabile.

Bric San Vito

Il sito, in cima a un’altura presso Pecetto Torinese, immerso nella vegetazione, è stato individuato nel 1991 dai volontari del Gruppo Archeologico Torinese (GAT), a seguito di una ricognizione occasionale (G. Zucco) basata sulle indicazioni dello storico Aldo Settia, e subito segnalato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte.
La locale tradizione storiografica e le voci popolari avevano erroneamente identificato il sito della antica chiesa dedicata a San Vittore, citata dalle fonti, con la sommità del Bric omonimo (in dialetto: Bric San Vitèr); ad esempio, in un testo del 1962 lo storico locale Nicolao Cuniberti afferma che tale edificio sorgeva su un colle dominante Pecetto, detto appunto dalla sua chiesa “Bric San Viter” (italianizzato in “Bric San Vito”). Le ricognizioni del GAT hanno invece sin da subito evidenziato che i ruderi presenti sulla sommità non hanno nulla a che vedere con la chiesa di S. Vittore ma sono riferibili a una costruzione fortificata medievale della quale, tuttora, non si hanno notizie documentarie. Nelle vicinanze, peraltro, sono state individuate le mura di una struttura absidata che è riconducibile alla chiesa citata.

L’indagine del sito ha interessato il castrum che occupa la parte sommitale del bric, fortificata da una cortina muraria continua che ne segue il profilo, disegnando un poligono di poco meno di 600 mq. L’area così delimitata è circoscritta da un fossato artificiale con andamento a spirale, che sale verso la porta d’ingresso. La struttura comprende anche due torri, una delle quali, la cosiddetta “torre grande”, sembra essere la struttura più antica del sito, mentre l’altra, la “torre piccola”, situata presso l’ingresso, si direbbe più che altro un rinforzo difensivo posto nella zona strategicamente più delicata.
Ben prima che sorgesse la struttura medievale, l’area del Bric San Vito fu sicuramente abitata e frequentata almeno fin dalla seconda età del Ferro, quando qui esisteva un piccolo insediamento dei Taurini con funzioni di emporio. Di questo villaggio sono state trovate notevoli evidenze archeologiche.

Il materiale raccolto in superficie, nell’area sommitale e lungo le pendici fino al vallo, e nel corso delle campagne di scavo attesta diverse fasi di frequentazione a partire dalla tarda età del Ferro. La presenza di materiali ceramici d’uso comune e nobiliari, tra i quali alcune pedine del gioco degli scacchi, confermano l’occupazione dell’area almeno fino al XIV secolo. Nel corso delle ricerche di superficie sono state rettificate le pareti di uno scavo circolare (forse un intervento clandestino, forse il risultato della rimozione di una postazione contraerea), profondo quasi due metri, che ha permesso di osservare in anteprima la situazione stratigrafica del terreno: negli strati sovrapposti, visibili in sezione, si potevano infatti distinguere livelli preistorici, romani e medievali.